Bile

2516, Richleaf, Maracay
Lucian Farahani è abituato ad aspettare. È un uomo paziente. Le ore della notte che passano costantemente uguali a se stesse e prive di eventi non pesano sul suo sonno perennemente assente. Questa notte tutte le regole sono ribaltate, questa notte non ha punti di riferimento. Le reazioni del suo corpo assomigliano di più alle conseguenze di una dose di Blast mal tagliata. Curioso che gli venga in mente questo paragone mentre si accingono ad entrare nel territorio di un boss del cartello della droga di Maracay. Il cuore si stringe, sbatte contro i polmoni strozzandogli il respiro in gola. Cammina avanti ed indietro per la stanza della posada a San Cristobal, scavando il sottile pavimento di legno sbiadito. La scorta di Maracaros che ha comprato appena atterrato sul pianeta è già stata consumata, le prove di quel genocidio giacciono confusamente intorno ad un portacenere che ha da tempo superato la sua capienza massima. Quando sente aprirsi la porta della stanza alle sue spalle, il suono lo prende di sorpresa come uno sparo, un colpo di pistola che sovrasta quelli dei mauler che combattono un'altra guerra di banda a qualche chilometro di distanza. Fissa Andres ad occhi spalancati e con la bocca aperta. Non può non notare lo sguardo ardente di furia ed i capelli tagliati grossolanamente da una mano tremante di una passione morbosa. Il Saint gli getta addosso qualche frase sincopata prima che Lucian abbia il tempo di reagire. "Non ha voluto dirmi nulla, non so cosa voglia in cambio, ho bisogno di riflettere". Prima di potere allungare le dita per trattenerlo, Andres gli ha già voltato le spalle, il cappuccio teso sul capo per nascondere la vergogna incisa sulla nuca. Lucian rimane a boccheggiare, solo in una stanza di Maracay, più solo di quanto sia mai stato in passato, circondato da una città nemica, assediato e privo di appigli. Non riesce ad eliminare il sapore amaro del fegato che metabolizza le sue percezioni e che gli brucia la bocca mentre si contorce per gli spasmi di una sofferenza già fisica, che gli strappa il sonno in un momento in cui avrebbe così bisogno di quell'oblio ristoratore. Lucian non è un uomo violento o impulsivo, ma il giorno dopo abbandonerà una stanza dilaniata dagli artigli di un leone in gabbia.

Terra e sangue

2516, Roanoke, Takoma Springs
Tutto ha l'apparenza di un sogno appena passato, offuscato dall'oblio che caratterizza il risveglio. Le forme della gente riunite intorno a lui sono una sagoma imprecisa ed irriconoscibile in cui spicca soltanto un luccichio dal sapore amaro e salino del metallo. Non ricorda neanche più i volti di quella gente. In questo momento, steso sul letto della sua stanza in cui si è infilato come un clandestino, tutto ciò che conta è il pulsare del sangue che sente vividamente premere contro la ferita aperta sulla spalla sinistra. Non è profonda, abbastanza da tingere rapidamente di rosso le lenzuola del suo letto, così come ha tinto la terra secca ed arenosa della Main Street. Lucian rimane a fissare lo squarcio nella carne per qualche minuto, con morbosa attenzione, quasi pensasse di interrompere il flusso aspettando con pazienza o, meglio ancora, come se non volesse perdere di vista la prova tangibile del fatto che è ancora vivo. La consapevolezza concreta che qualcuno sia deciso a fare in modo che non sia così ancora a lungo è ciò che lo inchioda al materasso per l'ora successiva, mentre l'adrenalina gli fa esplodere il cuore contro lo sterno ed il respiro affannoso scema, per dargli infine il permesso di chiamare il medico che ricucirà i due lembi di pelle. Mentre fissa le crepe del soffitto della stanza dello Steakhouse delle parole gli rimbombano in prossimità della nuca, gli colpiscono il cranio insieme ai colpi di pistola che echeggiano periodici e senza sosta come il rintocco di un macabro campanile.
"Sei un coglione Farahani. Vedi di non illudere questa povera gente."