Mogano

2513, Tauron, Magdalene Town
"Lucian, è tardi, vieni a dormire"
"Non posso"
"Non puoi o non vuoi?"

La domanda di Hua Li, la puttana che gli scalda periodicamente il letto perennemente vuoto, gli risuona in testa con retorica banalità. Lucian alza gli occhi dai tech reader e dai fogli disseminati sulla sua scrivania, dedicandole uno sguardo frutto di un'insofferenza tutt'altro che nascosta. Lei non dice niente, accoglie quella silenziosa critica con la sua solita pazienza raffinata. Attraversa lo studio, vestita soltanto della larga camicia nera dell'Agarajil, scivolandogli alle spalle per artigliare i muscoli tesi che gli si intrecciano intorno al collo. Il piacere fisico che il massaggio gli scioglie nelle vertebre è l'unica ragione che gli giustifica la presenza della donna in quello spazio altrimenti invalicabile.

"Perché non ce ne andiamo a New Melbourne, solo io e te? Ci lasciamo alle spalle tutto e tutti. Non sei stanco?"

La tentazione della donna ha l'effetto di una stoccata pungente alla base del cranio di Lucian. Gli occhi gli si aprono come allucinati da un incubo, le labbra si serrano in una smorfia di tensione. Non si accorge neanche del gesto rapido con cui le stringe il polso, voltandosi di scatto e scaraventandola quasi a terra, contro uno dei mobili che decorano il suo studio. La osserva con uno sguardo terrorizzato, da lei, da se stesso, immobile. Il vuoto di parole, statico, sembra durare ore. Quando Hua Li si rialza, lentamente, cercando di salvare la propria dignità, le sue parole nascondono una rabbia che supera la paura di quel momento.

"Quando dormi Lucian, quelle poche ore in cui apro gli occhi di notte e ti trovo nel letto, ti sento parlare. E mi hai raccontato più cose da addormentato che da sveglio. Non ci credi neanche tu a quello che stai facendo, è una battaglia persa."

La frustrazione della donna si manifesta nell'esplosione dei palmi delle mani che si schiantano contro il legno laccato della scrivania.

"Sei uguale a tutti gli altri, anzi peggio, perché ti senti una spanna sopra di loro! Ed eccoti qui, a goderti i soldi che mamma Agatha ti manda da parsec di distanza per farti la tua bella vacanza su Tauron!"

Il rumore dello schiaffo che si schianta contro la guancia della ragazza echeggia nella testa di Lucian per qualche secondo. Il respiro di Hua Li le solleva i capelli scomposti che ora le coprono metà volto.

"Puoi mentire a tutti, anche a te stesso, ma a me non più. Lo sento quanto odi questa vita, lo sento ogni volta che scopiamo, mi riversi quell'odio addosso e dentro. Continui a mettere pezze a qualcosa che è già rotto. Te stesso, il 'Verse. Non puoi semplicemente lasciare tutto andare?"

"Così ragionano i perdenti, Hua Li, e non fare finta di sapere quello che penso, è un gioco a cui non puoi vincere. E non ho intenzione di finire a succhiare il cazzo a qualche politico del Rim, pensando a quanto sarebbe bello avere una vita che mi appartiene. Continuerò a mettere pezze, come dici tu. Di certo non devo spiegare il perché ad una puttana."
"Chi è Lhea? Lo fai per lei?"
"Esci. Di. Qui"
"Continui a nominarla nel son..."
"ESCI DI QUI. ORA."

Il tremore della voce rauca di Lucian gli fa vibrare gli occhi e scoppiare il sangue in volto, le dita stringono il piano di mogano abbastanza forte da poterlo graffiare. Per un lungo istante Hua Li lo fissa con stupore, prima di riconoscere per la prima volta in quello sguardo un sincero desiderio di morte. Raccoglie i suoi vestiti uscendo dalla villa prima ancora di essersi del tutto rivestita, portandosi dietro la camicia di Lucian ed una paura che non riesce a lavarsi di dosso, che le riga il volto di lacrime di tensione.

Lisoformio

2516, Safeport, Sunset Tower
Roger "Scumbag" Richards era un contrabbandiere di Santo che sfruttava la nebulosa per i suoi traffici da molto prima della guerra. Durante uno dei suoi viaggi Ole Roger finisce su Clackline, dove si innamora di una schiava bellissima che potrebbe essere sua figlia. Nessuno sa bene se la ragazza si chiamasse Miriam o Maria, ma lui se la compra e se la prende a bordo. Ma pare che Maria fosse figlia di una puttana di Safeport che Scumbag aveva violentato, poi finita in mano agli schiavisti, morta di sifilide ma abbastanza incazzata da riuscire a ficcare l'odio in testa alla figlia prima di tirare le cuoia. Lei si fa sbattere dal padre per un paio di mesi, ma intanto si scopa anche tutti gli uomini dell'equipaggio alle sue spalle, e questo già mina l'autorità di Ole Roger agli occhi della sua gente, che lo vede meno uomo e più vecchio, meno capo e più carcassa per i vermi... Gli uomini avidi sono svelti a decretare la morte di chi possiede quello che vorrebbero."

Il panorama velenoso ed arrugginito di Sunset Tower assedia lo sguardo di Lucian in tutti i suoi picchi di metallo, i suoi cavi allentati, i suoi vuoti allucinanti, il suo fumo freddo. La storia raccontata con poco convincente innocenza da Lee gli si scuote nella testa mischiata all'eco di volti fin troppo concreti. 

2508, Richleaf, Maracay
Kailai è stesa su un letto di ospedale, uno dei migliori della capitale e quindi del sistema Polaris. Niente di meno per la donna che ha cresciuto il burattinaio di Sunset Tower, l'illusionista del conio di Safeport. Nondimeno, l'odore pungente dei disinfettanti infesta anche queste corsie. E' attaccata ad almeno una decina di tubi diversi che le iniettano fluidi per darle nutrimento, ne purificano il sangue per sostituire il compito di un fegato collassato, le gonfiano i polmoni, le seccano la vescica. Lucian rimane in piedi di fianco al letto guardandola inevitabilmente dall'alto al basso con sofferto disagio. Vederla fragile, vulnerabile, spezzata è una delusione da cui sperava di essere risparmiato. La sua maestra si sveglia dal sonno chimicamente indotto, forse inconsciamente percependo la presenza del ragazzo. La mano ossuta si avvicina faticosamente alla mascherina che le tappa la bocca, ma è Lucian a doverle liberare il volto da quel respiro artificiale quando i suoi muscoli non le obbediscono. 
"Non... non dovresti stare qui."
"Lo so. Ma poche persone nel 'Verse meritano davvero di morire da sole e tu non sei fra queste." La durezza del volto combatte con fatica con le vibrazioni delle sue parole. La donna cerca di allungare una mano verso di lui, tremando sotto il peso di una vecchiaia che l'ha investita di colpo con la spietatezza degli anni che non ha pagato fino ad allora. "Non sforzarti, riposa." La rimprovera.
"Avrò tutto il tempo che voglio per riposare. Ora siediti e raccontami."
Lucian la guarda con un certo stupore e scetticismo. Non riesce a riconoscere, tra le rughe tiepide del volto della donna, l'avvocato impeccabile e quasi spietato che gli ha aperto la strada in quei due anni. Con una certa esitazione, scivola sulle coperte bianche, sedendosi di fianco alle gambe della donna.
"Che cosa vuoi sentire?"
"Dimmi perché hai accettato di venire a Sunset e risparmiati le risposte stupide". Lo guarda per un attimo con lo sguardo penetrante a cui è più abituato, che non ammette menzogne. 
"Non credo sia il momento giusto per parlarne" La mascella gli si chiude in un'espressione dura sotto cui soffoca le parole che non vuole ammettere a lei né tantomeno a se stesso. La mano sinistra trema leggermente sotto le dita scheletriche della donna. Lei gli sorride, inaspettatamente, inspiegabilmente.
"Credo invece che non ci sia un momento migliore di questo. Ti semplificherò la cosa. Voglio sapere il perché. Voglio sapere..." la voce le si spezza in un colpo di tosse secca, ci mette qualche secondo a riprendere il fiato "voglio sapere perché ci tieni tanto a farlo inabissare."
Lucian la guarda con occhi tremanti, cercando di nascondere le vibrazioni che gli si scatenano in gola. Il fascino di quella donna che riesce a stupirlo ed ad essere un passo avanti a lui anche sul letto di morte, è una sensazione ingombrante difficile da lavarsi di dosso. Ci mette molto tempo a risponderle, il cinese gli si sporca in bocca di umori densi.
"Lungo il percorso fatto di ambizione e desiderio, Belfort ha fatto molte vittime. Ma con nessuno è stato spietato come con mia madre."
Kailai lo osserva per qualche secondo attraverso i suoi occhi opachi, per poi sospirare un consiglio addolorato, consapevole dell'inevitabilità degli eventi che saranno scatenati dalla scelta di Lucian.
"Vedi, nessuno può governare un pianeta da solo, neanche Douglas. Soprattutto se questo pianeta è Safeport. Devi tenere in mano le persone. Ma le persone sono divise, spaccate. L'unità è soltanto un'illusione, Lucian. Per comandare le persone, devi avere in mano chi le guida." ansima leggermente, prende aria, guardandolo ora quasi con fibrillazione "Murphy, O' Connell, Martha e Zhao-Feng guidano le comunità di Sunset. Conquista loro e conquisterai la città." Stringe le palpebre con forza mentre i colpi di tosse le sconquassano i polmoni, macchiandole di sangue i denti. Lucian si allunga verso di lei, pulendole le labbra con un fazzoletto di cotone che diventa subito rosso. Le copre la bocca di nuovo con la mascherina collegata alla bombola d'ossigeno, le asciuga il sudore che le imperla i capelli mentre le parla.
"Ora smettila di vaneggiare. Te l'ho detto, tornerò ad Agatha e continuerò il lavoro che ho lasciato in sospeso. Con tutto quello che mi hai insegnato... I can do something good."
L'anziana scuote la testa guardandolo con affetto ed accondiscendenza. Sa prima di lui che non potrà lasciare il pianeta prima di aver consumato quella lenta vendetta. In quell'istante quello sguardo è, per Lucian, come una condanna.

Whiskey e vernice

2511, New London, Manhattan
La mostra d'arte della Zubchenska Memorial Art Gallery (chiamata "Jutch", J dolce, dai meno avvezzi alla  lingua russa) ospita le opere di esponenti da ogni angolo del 'Verse. Che, per un'istituzione di New London, significa da ogni angolo di Central. Le sculture si piegano sotto il peso della guerra appena conclusa e ben poche sembrano celebrarne la vittoria. Il solo fatto di mantenere il nome palesemente Korolevita, sembra di questi tempi un atteggiamento di per sé controverso e da alcuni esponenti politici più reazionari additato addirittura come sovversivo. Basta così poco. Non stupisce quindi che la galleria ospiti artisti poco amati e quindi molto apprezzati, che remano controcorrente, come è loro compito fare. Lucian è stato invitato da Donald Byron, politico affiliato alla Silver che sembra vantare nobili ascendenti della Terra-che-fu, che, a detta dell'Agarajil, non lo fanno sembrare meno stupido. Gran parte delle sue missioni diplomatiche dopotutto consiste in questo, sopportare boriosi esponenti politici pieni di sé, convinti di custodire l'unica vera chiave interpretativa delle verità molteplici del 'Verse e dei suoi problemi, e coltivare quei falsi legami in vista del momento in cui una delle due parti sarà abbastanza priva di risorse da avere la faccia tosta di richiedere un favore a perfetti poco più che sconosciuti. Lucian è terribilmente bravo in quel gioco, colleziona carte senza apparentemente mai giocarne una. Dopo qualche ora passata a parlare dei (presunti) benefici che il partito di Byron potrebbe portare alla ricostruzione dei pianeti del sistema Dorado se solo l'organico di Agatha gli fornisse una spinta economica in più, Lucian riesce finalmente a staccarsi dal piccolo gruppo di scalatori. Le sale della galleria sono del tutto vuote, silenziose, la mostra non inizierà che una settimana dopo. Tutto si mantiene nella perfezione dettata dall'organizzazione dell'evento, senza la presenza della folla che striscerà i suoi zoccoli durante il vernissage, ragliando commenti rubati a qualche rivista cortex. Il diplomatico cammina con lentezza nelle stanze vuote del terzo piano dell'edificio. Si blocca di colpo quando si accorge dello sguardo di un uomo, bloccato ed inchiodato contro la sua nuca. Quando si volta due occhi simili ai suoi lo fissano attraverso una patina impenetrabile. La barba folta dell'uomo è densa come la sua. Si guardano a lungo, senza dire una parola, forse per un paio di minuti. Che cosa abbiano cercato, trovato, che cosa si siano detti a vicenda in quei due minuti, è un segreto senza voce. Poi Lucian abbassa per un secondo lo sguardo, passandogli di fianco ed incamminandosi verso l'uscita della galleria.

2515, Horyzon, Capital City
La guerra sembra bussare alle porte un'altra volta. Tutti quelli che hanno le orecchie tese nel teatro della politica sanno che l'incontro dei Sette non è l'inizio, ma la fine di ogni possibile trattativa diplomatica con Polaris. La Iron Lady prepara la sua parte, il suo ruolo ben delineato, aspettando solo che la spia rossa delle holocamere si accenda. La mostra al MOCA di Capital City sembra vomitare un ottimismo cieco, che ha la stessa consistenza di una benda di seta sugli occhi. Il diplomatico tiene tra le dita un boccale di spumante sintetizzato in una regione a sud della capitale, senza averne ancora consumato una goccia. Si ferma davanti ad un dipinto che sembra attirarne l'attenzione, bloccarne i pensieri. La superficie, prima di un neutrale grigio, sfrigola docilmente, agitandosi intorno alla sagoma dell'uomo specchiata sulla superficie del quadro. Ciò che segue è una lenta danza di colori che gioca ad imitare i turbamenti e le speranze dell'Agarajil. Il volto per un attimo si tende in un sorriso stupito dall'ingegnosa originalità di quel pezzo. Poi le labbra si piegano in un morso, la fronte si corruga in dense increspature, il capo si china spezzando il contatto visivo con il quadro. Lucian perde di vista i mutamenti turbolenti che avvengono sulla superficie calda del dipinto. Annuisce lentamente tra sé e sé un paio di volte, una tacita concessione alla verità che deve aver intravisto in quelle forme. Si volta scalciando per allontanarsi con passo quieto, fermandosi solo quando trova davanti a sé un uomo a bloccargli la strada. L'odore di whiskey è percepibile da mezzo metro di distanza e la barba è più incolta dell'ultima volta. Il suo sguardo liquido è fisso sul quadro, seppure appaia tenersi ad una rispettosa e cauta distanza dall'opera. Gli occhi di Lucian seguono il filo teso legato alle iridi dell'uomo, oscillando tra lui e l'opera. "Terrificante". Riesce solo a commentare, con un sorriso addolorato che infonde quell'unica parola di un senso incomprensibilmente positivo. Paul Carraway abbassa lo sguardo verso il bicchiere stretto tra le lunga dita di Lucian, per poi estrarre dalla sua giacca, con un movimento lento e quasi stanco, una fiaschetta di metallo. La mostra all'Agarajil, insieme ad un rauco "Posso?", senza aspettare davvero una risposta prima di bruciarsi la gola. Sembra essere l'unico dazio che richiede. Farahani china il capo silenziosamente, pagando di buon grado quella concessione per avere in cambio le sue parole. Attende con la pazienza di un fedele che l'altro sia pronto ad interrompere quel silenzio. Quella sera il loro dialogo sarà faticoso come una scalata ed altrettanto lungo.

"Cancer"