2511, New London, Manhattan
La mostra d'arte della Zubchenska Memorial Art Gallery (chiamata "Jutch", J dolce, dai meno avvezzi alla lingua russa) ospita le opere di esponenti da ogni angolo del 'Verse. Che, per un'istituzione di New London, significa da ogni angolo di Central. Le sculture si piegano sotto il peso della guerra appena conclusa e ben poche sembrano celebrarne la vittoria. Il solo fatto di mantenere il nome palesemente Korolevita, sembra di questi tempi un atteggiamento di per sé controverso e da alcuni esponenti politici più reazionari additato addirittura come sovversivo. Basta così poco. Non stupisce quindi che la galleria ospiti artisti poco amati e quindi molto apprezzati, che remano controcorrente, come è loro compito fare. Lucian è stato invitato da Donald Byron, politico affiliato alla Silver che sembra vantare nobili ascendenti della Terra-che-fu, che, a detta dell'Agarajil, non lo fanno sembrare meno stupido. Gran parte delle sue missioni diplomatiche dopotutto consiste in questo, sopportare boriosi esponenti politici pieni di sé, convinti di custodire l'unica vera chiave interpretativa delle verità molteplici del 'Verse e dei suoi problemi, e coltivare quei falsi legami in vista del momento in cui una delle due parti sarà abbastanza priva di risorse da avere la faccia tosta di richiedere un favore a perfetti poco più che sconosciuti. Lucian è terribilmente bravo in quel gioco, colleziona carte senza apparentemente mai giocarne una. Dopo qualche ora passata a parlare dei (presunti) benefici che il partito di Byron potrebbe portare alla ricostruzione dei pianeti del sistema Dorado se solo l'organico di Agatha gli fornisse una spinta economica in più, Lucian riesce finalmente a staccarsi dal piccolo gruppo di scalatori. Le sale della galleria sono del tutto vuote, silenziose, la mostra non inizierà che una settimana dopo. Tutto si mantiene nella perfezione dettata dall'organizzazione dell'evento, senza la presenza della folla che striscerà i suoi zoccoli durante il vernissage, ragliando commenti rubati a qualche rivista cortex. Il diplomatico cammina con lentezza nelle stanze vuote del terzo piano dell'edificio. Si blocca di colpo quando si accorge dello sguardo di un uomo, bloccato ed inchiodato contro la sua nuca. Quando si volta due occhi simili ai suoi lo fissano attraverso una patina impenetrabile. La barba folta dell'uomo è densa come la sua. Si guardano a lungo, senza dire una parola, forse per un paio di minuti. Che cosa abbiano cercato, trovato, che cosa si siano detti a vicenda in quei due minuti, è un segreto senza voce. Poi Lucian abbassa per un secondo lo sguardo, passandogli di fianco ed incamminandosi verso l'uscita della galleria.
2515, Horyzon, Capital City
La guerra sembra bussare alle porte un'altra volta. Tutti quelli che hanno le orecchie tese nel teatro della politica sanno che l'incontro dei Sette non è l'inizio, ma la fine di ogni possibile trattativa diplomatica con Polaris. La Iron Lady prepara la sua parte, il suo ruolo ben delineato, aspettando solo che la spia rossa delle holocamere si accenda. La mostra al MOCA di Capital City sembra vomitare un ottimismo cieco, che ha la stessa consistenza di una benda di seta sugli occhi. Il diplomatico tiene tra le dita un boccale di spumante sintetizzato in una regione a sud della capitale, senza averne ancora consumato una goccia. Si ferma davanti ad un dipinto che sembra attirarne l'attenzione, bloccarne i pensieri. La superficie, prima di un neutrale grigio, sfrigola docilmente, agitandosi intorno alla sagoma dell'uomo specchiata sulla superficie del quadro. Ciò che segue è una lenta danza di colori che gioca ad imitare i turbamenti e le speranze dell'Agarajil. Il volto per un attimo si tende in un sorriso stupito dall'ingegnosa originalità di quel pezzo. Poi le labbra si piegano in un morso, la fronte si corruga in dense increspature, il capo si china spezzando il contatto visivo con il quadro. Lucian perde di vista i mutamenti turbolenti che avvengono sulla superficie calda del dipinto. Annuisce lentamente tra sé e sé un paio di volte, una tacita concessione alla verità che deve aver intravisto in quelle forme. Si volta scalciando per allontanarsi con passo quieto, fermandosi solo quando trova davanti a sé un uomo a bloccargli la strada. L'odore di whiskey è percepibile da mezzo metro di distanza e la barba è più incolta dell'ultima volta. Il suo sguardo liquido è fisso sul quadro, seppure appaia tenersi ad una rispettosa e cauta distanza dall'opera. Gli occhi di Lucian seguono il filo teso legato alle iridi dell'uomo, oscillando tra lui e l'opera. "Terrificante". Riesce solo a commentare, con un sorriso addolorato che infonde quell'unica parola di un senso incomprensibilmente positivo. Paul Carraway abbassa lo sguardo verso il bicchiere stretto tra le lunga dita di Lucian, per poi estrarre dalla sua giacca, con un movimento lento e quasi stanco, una fiaschetta di metallo. La mostra all'Agarajil, insieme ad un rauco "Posso?", senza aspettare davvero una risposta prima di bruciarsi la gola. Sembra essere l'unico dazio che richiede. Farahani china il capo silenziosamente, pagando di buon grado quella concessione per avere in cambio le sue parole. Attende con la pazienza di un fedele che l'altro sia pronto ad interrompere quel silenzio. Quella sera il loro dialogo sarà faticoso come una scalata ed altrettanto lungo.
"Cancer"